lunedì 1 luglio 2013


IL MATRIMONIO.

 

Ci risiamo: è definitivamente iniziata la bella stagione, e di nuovo sono costretta a sorbirmi le foto dei milioni di matrimoni sul social network. Pare facciano a gara per chi ha celebrato nella chiesa più suggestiva, con la cerimonia apparentemente più semplice (ma in verità mostruosamente costosa), con gli abiti più di tendenza, con i fotografi più creativi, col numero di invitati più elevato, e in generale, col conto in banca di parecchio più prosciugato.

Da che mondo è mondo, “la vetrina di vita” più chiacchierata è sempre stata il matrimonio. Sarà che con l’avvento dei social poi, certi eventi vengono amplificati ancora di più, fatto sta, che mai come quest’anno, ringrazio il cielo di essere una di quelle donne che nel matrimonio non vede un punto di arrivo, bensì il precipizio oltre il quale saltare.

 

Non posso farci niente. Io, al matrimonio non ci credo, e non è solo perché il realismo la fa da padrone nella mia vita, ma anche perché da sempre sono convinta che l’illusione del “for ever” sia appunto una gran presa in giro. Non so come siamo arrivati al punto cruciale di doverci raccontare favolette per rendere migliore la nostra vita: sarà che viviamo in un paese ultracattolico, uno di quei posti in cui le apparenze e le convenzioni sociali, devono ancora gestire le nostre vite, comunque sia, esiste ancora gente che si sposa per non lasciarsi, e dopo circa due anni, si ritrova a parlarsi tramite avvocati.

Secondo me, la maggior parte di queste persone, occupa circa un anno della propria vita a preparare la cerimonia, al fine di renderla il più possibile perfetta, raccontando a se stessa e agli altri, storielle sulla felicità e sulla realizzazione personale, quando magari nel giro di quello stesso anno, desidererebbe nell’ordine:

-          Fuggire su un’isola deserta, lontano da parenti, colleghi, capiufficio e futuri consorti.

-          Provare – chessò – il brivido del bungee jumping sostituendolo al solito sesso coi futuri consorti.

-          Uccidere i preti, i ristoratori, i fotografi, e tutti coloro che contribuiscono ad alleggerire il loro conto in banca.

-          Farsi l’amante (che magari potrebbe essere colui che fino a quel momento è stato il loro migliore amico/migliore amica, e gli ha fatto venire improvvisamente dei dubbi insormontabili)

-          Più in generale, intraprendere qualsiasi scelta, tranne quella di sposarsi.

 

Va detto – con tutta la cinica disillusione possibile – che la maggior parte di quelli che arrivano a decidere di sposarsi, lo fanno perché sono di fronte “al bivio”, ovvero la scelta di finirla col proprio partner, oppure per l’appunto, raccontare al mondo intero la storiella che sposandosi saranno addirittura più felici.

 

Un paragrafo a parte invece, lo meritano le donne che hanno letteralmente sgomitato tutta la vita per indossare l’abito bianco, farsi mettere l’anello al dito, e camminare lungo la navata centrale sottobraccio a loro padre. Purtroppo, di donne così ne esistono ancora tantissime, e sono le stesse che dopo il primo anno di matrimonio, già rompono i coglioni al loro povero uomo, con la brutta storia dell’orologio biologico. Lo step successivo al lancio del bouquet infatti, è proprio la corsa pazza per avere un figlio, concomitante con la messa in croce del proprio maritino, e precedente alla trasformazione di queste donne, da donne in forma, a vacche con i rotoli di ciccia. Senza contare che, quando dopo qualche anno, vengono alla luce le prime corna, il primo pensiero è il suicidio dal ponte più alto del Tevere, e il secondo, è come farsi le scarpe a vicenda grazie ai suggerimenti di impavidi avvocati.

 

Lo so, lo so, voi ora penserete che una critica così lucida da parte mia, sia il risultato del fatto che alla veneranda età di trentatre anni, io non mi sia ancora accalappiata un bel maschietto da incastrare, oppure, che il mio orologio biologico, vada avanti con rintocchi e tic tac impazziti… e invece no! Io, contro il matrimonio come istituzione, lo sono sempre stata, e ormai, credo che per sempre lo sarò.

Perché signori miei, credetemi, esiste una valida alternativa al mettersi in poltrona sentendosi arrivati, e allo sfornare figli che promettiamo di tutelare attraverso un contratto siglato da un prete o da un pubblico ufficiale, e quella valida alternativa, si chiama “amore per se stessi”. Se vivete bene con voi stessi infatti, se vi sentite soddisfatti della vostra vita e di ciò che avete ottenuto nel tempo, allora (e solo allora) sarete veramente in grado di donarvi all’altro. Ma donarsi all’altro, non vuol dire farlo legalmente, ma rispettarsi a vicenda anche quando si arriverà ad odiarsi, e non si sopporteranno più nemmeno i rispettivi suoni di voce. Donarsi all’altro, vuol dire amare talmente i propri figli, da non aver bisogno di dover ricorrere ad una tutela legale che stabilisca quanti alimenti dobbiamo loro ogni mese.

 

Signori miei, ci siamo raccontati tante belle favole fino ad ora, e abbiamo perso il motivo fondamentale che dovrebbe tenerci con i piedi ben saldi a terra: l’amore inizia e finisce. L’amore, non è per sempre. Per questo, vivetelo ogni giorno come se fosse l’ultimo, e non programmando un numero di invitati che mangeranno a scrocco per un giorno intero.
 

1 commento:

  1. E'una chiara descrizione oggettiva, il matrimonio come "step" obsoleto, retaggio di tradizioni culturali da rivedere e correggere, dove spiritualità e amor proprio spesso passano in secondo piano, sebbene siano gli unici due elementi essenziali per star bene ed esser felici. Si cade vittime consapevoli dell'insana usanza racchiusa un atto ufficiale e nel relativo cerimoniale sfarzoso, i quali si trascinano appresso diversi insostenibili compromessi capaci pure di generarne altri peggiori. L'ennesimo esempio in cui l'ego prende il sopravvento obbligandoci ad identificarci in un ruolo illusorio, come se fosse indispensabile per provare stimoli e gioie di vita.

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