IL
MATRIMONIO.
Ci
risiamo: è definitivamente iniziata la bella stagione, e di nuovo sono
costretta a sorbirmi le foto dei milioni di matrimoni sul social network. Pare
facciano a gara per chi ha celebrato nella chiesa più suggestiva, con la
cerimonia apparentemente più semplice (ma in verità mostruosamente costosa),
con gli abiti più di tendenza, con i fotografi più creativi, col numero di
invitati più elevato, e in generale, col conto in banca di parecchio più
prosciugato.
Da che
mondo è mondo, “la vetrina di vita” più chiacchierata è sempre stata il
matrimonio. Sarà che con l’avvento dei social poi, certi eventi vengono
amplificati ancora di più, fatto sta, che mai come quest’anno, ringrazio il
cielo di essere una di quelle donne che nel matrimonio non vede un punto di
arrivo, bensì il precipizio oltre il quale saltare.
Non posso
farci niente. Io, al matrimonio non ci credo, e non è solo perché il realismo
la fa da padrone nella mia vita, ma anche perché da sempre sono convinta che
l’illusione del “for ever” sia appunto una gran presa in giro. Non so come
siamo arrivati al punto cruciale di doverci raccontare favolette per rendere
migliore la nostra vita: sarà che viviamo in un paese ultracattolico, uno di
quei posti in cui le apparenze e le convenzioni sociali, devono ancora gestire
le nostre vite, comunque sia, esiste ancora gente che si sposa per non
lasciarsi, e dopo circa due anni, si ritrova a parlarsi tramite avvocati.
Secondo
me, la maggior parte di queste persone, occupa circa un anno della propria vita
a preparare la cerimonia, al fine di renderla il più possibile perfetta,
raccontando a se stessa e agli altri, storielle sulla felicità e sulla
realizzazione personale, quando magari nel giro di quello stesso anno,
desidererebbe nell’ordine:
-
Fuggire su un’isola
deserta, lontano da parenti, colleghi, capiufficio e futuri consorti.
-
Provare – chessò – il
brivido del bungee jumping sostituendolo al solito sesso coi futuri consorti.
-
Uccidere i preti, i
ristoratori, i fotografi, e tutti coloro che contribuiscono ad alleggerire il
loro conto in banca.
-
Farsi l’amante (che
magari potrebbe essere colui che fino a quel momento è stato il loro migliore
amico/migliore amica, e gli ha fatto venire improvvisamente dei dubbi
insormontabili)
-
Più in generale,
intraprendere qualsiasi scelta, tranne quella di sposarsi.
Va detto
– con tutta la cinica disillusione possibile – che la maggior parte di quelli
che arrivano a decidere di sposarsi, lo fanno perché sono di fronte “al bivio”,
ovvero la scelta di finirla col proprio partner, oppure per l’appunto,
raccontare al mondo intero la storiella che sposandosi saranno addirittura più
felici.
Un
paragrafo a parte invece, lo meritano le donne che hanno letteralmente
sgomitato tutta la vita per indossare l’abito bianco, farsi mettere l’anello al
dito, e camminare lungo la navata centrale sottobraccio a loro padre.
Purtroppo, di donne così ne esistono ancora tantissime, e sono le stesse che
dopo il primo anno di matrimonio, già rompono i coglioni al loro povero uomo,
con la brutta storia dell’orologio biologico. Lo step successivo al lancio del
bouquet infatti, è proprio la corsa pazza per avere un figlio, concomitante con
la messa in croce del proprio maritino, e precedente alla trasformazione di
queste donne, da donne in forma, a vacche con i rotoli di ciccia. Senza contare
che, quando dopo qualche anno, vengono alla luce le prime corna, il primo
pensiero è il suicidio dal ponte più alto del Tevere, e il secondo, è come
farsi le scarpe a vicenda grazie ai suggerimenti di impavidi avvocati.
Lo so, lo
so, voi ora penserete che una critica così lucida da parte mia, sia il
risultato del fatto che alla veneranda età di trentatre anni, io non mi sia
ancora accalappiata un bel maschietto da incastrare, oppure, che il mio
orologio biologico, vada avanti con rintocchi e tic tac impazziti… e invece no!
Io, contro il matrimonio come istituzione, lo sono sempre stata, e ormai, credo
che per sempre lo sarò.
Perché
signori miei, credetemi, esiste una valida alternativa al mettersi in poltrona
sentendosi arrivati, e allo sfornare figli che promettiamo di tutelare
attraverso un contratto siglato da un prete o da un pubblico ufficiale, e
quella valida alternativa, si chiama “amore per se stessi”. Se vivete bene con
voi stessi infatti, se vi sentite soddisfatti della vostra vita e di ciò che
avete ottenuto nel tempo, allora (e solo allora) sarete veramente in grado di
donarvi all’altro. Ma donarsi all’altro, non vuol dire farlo legalmente, ma
rispettarsi a vicenda anche quando si arriverà ad odiarsi, e non si
sopporteranno più nemmeno i rispettivi suoni di voce. Donarsi all’altro, vuol
dire amare talmente i propri figli, da non aver bisogno di dover ricorrere ad
una tutela legale che stabilisca quanti alimenti dobbiamo loro ogni mese.
Signori
miei, ci siamo raccontati tante belle favole fino ad ora, e abbiamo perso il
motivo fondamentale che dovrebbe tenerci con i piedi ben saldi a terra: l’amore
inizia e finisce. L’amore, non è per sempre. Per questo, vivetelo ogni giorno
come se fosse l’ultimo, e non programmando un numero di invitati che mangeranno
a scrocco per un giorno intero.
E'una chiara descrizione oggettiva, il matrimonio come "step" obsoleto, retaggio di tradizioni culturali da rivedere e correggere, dove spiritualità e amor proprio spesso passano in secondo piano, sebbene siano gli unici due elementi essenziali per star bene ed esser felici. Si cade vittime consapevoli dell'insana usanza racchiusa un atto ufficiale e nel relativo cerimoniale sfarzoso, i quali si trascinano appresso diversi insostenibili compromessi capaci pure di generarne altri peggiori. L'ennesimo esempio in cui l'ego prende il sopravvento obbligandoci ad identificarci in un ruolo illusorio, come se fosse indispensabile per provare stimoli e gioie di vita.
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